Silvio Carta e una meravigliosa Vernaccia di Oristano del 1968
C’è del fascino latente in Sardegna oltre il mare e il vino che abitualmente frequentiamo. Non esistono solo le meraviglie del vermentino e le punte del cannonau o del carignano, ma si riesce e sconfinare oltre, fino ad entrare nel ristrettissimo club dei vini ossidativi con la flor che nel mondo si contano sulla mano di un Simpsons. Il vitigno è appunto la vernaccia (ma nessuna parentela con le altre “vernaccia”, sta solo a significare “uva locale”), documentata almeno dal 1327 come “Varnaccia” nel Breve di Villa di Chiesa, il codice di leggi di Iglesias che regolava anche le attività dei tavernieri.
Oggi la zona di produzione è la valle bassa del Tirso che vanta anche quattro sottozone: San Vero Milis, Solarussa, Simaxis e Oristano, con un mix variegato di suoli “gregori” formatisi durante alluvioni antiche e poco fertili, e dei “bennaxi”, più vicini al fiume, profondi, freschi, e di buona fertilità. La vinificazione è particolarissima perché, dopo la fermentazione, la vernaccia di Oristano passa in botti di castagno o di rovere tenute scolme in maniera da favorire l’ingresso di ossigeno e la formazione della flor, uno strato di lieviti che protegge il vino sottostante dall’ossigeno facendo effettuare al vino il cosiddetto affinamento “biologico”.
Perchè si formi la flor serve un alcol sopra i 14,5 gradi ma non oltre i 16: in queste condizioni i lieviti della flor utilizzano l’alcol etilico del vino per produrre acetaldeide e altre sostanze simili, che conferiscono il gusto particolare a questi vini. Da notare che, durante la fermentazione, non perdono gradazione alcolica, perchè quello che consumano i lieviti viene compensato dall’evaporazione dell’acqua nel vino tramite le doghe delle botti: la percentuale di alcol, quindi, rimane la stessa perchè diminuisce il volume complessivo.
Il vino che esce da queste botti ha caratteristiche del tutto diverse dai classici vini ad alta gradazione, dolci o passiti, che popolano il mercato. Sono vini completamente secchi che hanno come note aromatiche profumi che ricordano elementi floreali e fruttati, miele, varie tostature comprese caffè e frutta secca e un’ampia sfumatura di nocciole e frutta a guscio.
Ci sono tutti gli elementi che lo potrebbero far passare per un famigerato “vino da meditazione” ma non è proprio così, come abbiamo provato a raccontare durante l’ultimo Meran Wein Festivalcon l’analisi e l’abbinamento “creativo” dei vini di Silvio Carta:
Qui anche un commento di Helmuth Koecher e la sua “riscoperta” della vernaccia di Oristano al MWF e di quale ruolo potrebbe avere oggi nel panorama italiano
Abbiamo dato la parola ad Elio Carta che ci ha raccontato la storia di Silvio Carta e della loro vernaccia di Oristano, un vino delle grandi occasioni ma che rischia di restare prigioniero di questa definizione e allontanarsi per sempre dal vissuto quotidiano sardo e, in genere, anche dal vissuto dei bevitori abituali di vino.
Come prodotti in assaggio nella nostra piccola verticale abbiamo provato la Vernaccia di Oristano Silvio Carta Riserva 2004, un vino ricco di note come miele e noci, fico secco, sigaro cubano, note tostate e un bel tocco di cannella oltre le classiche note salmastre che la localizzano bene nell’isola dal mare più bello di tutto il Mediterraneo e forse del mondo.
Ma la sfida più grande per la Vernaccia di Oristano (la 2001 in questo caso), ed elemento fondamentale per una sua eventuale rinascita commerciale è quello dell’abbinamento con il cibo. Ecco perchè Francesco Fadda, da bravo sardo, ha coinvolto lo chef Roberto Ottone del Due Torri Hotel di Verona. La risposta di Roberto ha sorpreso e deliziato tutti i presenti perchè il suo risotto al finocchietto e cotechino si è rivelato fenomenale per esaltare la Vernaccia di Oristano.
Il risotto, macerato nella Vernaccia per 10 ore, ha una sua grassezza e croccantezza “piemontese” intrigante che ben completa la secchezza del vino, ma qui c’era in più il cotechino cotto per 5 ore ad aggiungere sapidità e una bella nota amarotica della parte grigliata che gioca con quella della Vernaccia. Il finocchietto sveglia il palato nel modo giusto e l’abbinamento funziona, anche perchè emergono le note di erbe aromatiche del vino.
Momento clou della presentazione l’assaggio della Vernaccia Riserva 1968 , un vino epico e commovente, da ascoltare e da assaporare in momenti speciali ripensando alla storia che ha attraversato prima di arrivare nel nostro bicchiere. Resina di pino, acquazzone estivo su ghiaia, boschi di castagno autunnali, umami e fungino, canditi: in bocca ha sua complessità dolcezza e rotondità che comprende caffè ammazzacaffè e sigaro finale, lasciando una bocca completa, succosa eppure secchissima senza appigli.
Eppure ci torni di continuo e ti accompagna per dei minuti interi, che diventano ore di chiacchiere e relax.
Articolo pubblicato su Intravino